Progressi in neuroscienze e in psicologia

In questo articolo vi proponiamo alcune scoperte di neuro-scienziati e psicologi. Buona lettura! Una nuova prospettiva terapeutica per il trattamento del…

In questo articolo vi proponiamo alcune scoperte di neuro-scienziati e psicologi. Buona lettura!

Una nuova prospettiva terapeutica per il trattamento del dolore cronico

Un team di ricercatori dell’Università di Firenze e dell’Università dello Utah (USA), coordinato da Carla Ghelardini, ordinario di Farmacologia del Dipartimento di Neuro-scienze, ha scoperto una nuova terapia per il trattamento del dolore cronico. Si tratta di una terapia analgesica basata sul peptide RgIA4, ricavato dal veleno che un mollusco marino, il Conus regius, utilizza per bloccare le sue prede e che è in grado di ridurre il dolore neuropatico indotto dalla chemioterapia. Rispetto agli antidolorifici basati su oppioidi, il peptide ha un’azione più mirata e non induce tolleranza, cioè non richiede l’aumento progressivo per mantenere la stessa efficacia. Lo studio è stato pubblicato sulla rivista scientifica Proceedings of the National Academy of Sciences - PNAS.

Dolore sociale e dolore fisico a confronto

Forse non tutti ce ne accorgiamo, ma quando ci sentiamo abbandonati, esclusi o quando soffriamo a causa del comportamento altrui, sovrapponiamo lessicalmente il dolore fisico a quello psicologico. È stato dimostrato, infatti, che il dolore fisico e il dolore sociale condividono le stesse basi neurali, situate nella corteccia cingolata anteriore. Naomi I. Eisenberger and Matthew D. Lieberman, ricercatori del Dipartimento di Psicologia dell’Università della California, hanno condotto uno studio in cui hanno sottoposto a risonanza magnetica funzionale coppie di volontari mentre giocavano a tennis contro un computer. A metà partita, alcuni giocatori iniziavano a giocare tra loro e altri venivano esclusi. Osservando le scansioni cerebrali di tutti i volontari, i due ricercatori hanno notato che l’area del cervello attivatasi durante l’esclusione dal gioco era la stessa che in genere si attiva quando si prova dolore fisico. Un’altra ricerca, condotta da un team del Dipartimento di Psichiatria e Scienze Comportamentali della Emory University di Atlanta, ha dimostrato che nel gioco del Dilemma del Prigioniero, in cui si deve decidere se collaborare con l’avversario o escluderlo, si attivavano i centri di gratificazione del cervello quando i giocatori sceglievano la via dell’inclusione. Quindi il dolore sociale viene elaborato dal nostro cervello come dolore fisico, mentre l’inclusione e la cooperazione ci gratificano e ci fanno sentire appagati.

I videogiochi violenti non rendono più aggressivi

Il legame tra videogiochi violenti e comportamenti antisociali nella vita reale è oggetto di dibattito da molto tempo. In passato è stato dimostrato che coloro che usano regolarmente videogiochi violenti possono de-sensibilizzarsi nei confronti della violenza e mostrare una diminuzione dell'empatia. Tuttavia, questi studi hanno indagato solo gli effetti a breve termine dei videogiochi violenti. Alcuni ricercatori delle Università di Hannover e di Lubecca ne hanno esaminato gli effetti a lungo termine, sottoponendo un gruppo di giocatori a questionari per valutare la loro capacità di empatia e la loro aggressività ad almeno tre ore di distanza dall'ultima sessione di gioco. Inoltre, i partecipanti sono stati sottoposti a risonanza magnetica per misurare l'attivazione di specifiche regioni cerebrali mentre veniva mostrata loro una serie di immagini emotivamente cariche. Il questionario non ha rivelato differenze tra il gruppo di giocatori e il gruppo di non giocatori e le scansioni MRI hanno mostrato che i due gruppi avevano risposte neurali simili. Ciò significa che la de-sensibilizzazione alla violenza è un fenomeno transitorio che si esaurisce nel giro di poche ore.

 

Sta diventando sempre più importante indagare l'esistenza di legami tra il sistema nervoso, i comportamenti e gli stati d'animo studiati in psicologia. Voi cosa ne pensate? A giovedì prossimo!