Gestione del personale

In Italia esistono più di 4 milioni di imprese, suddivise in differenti settori (qui la suddivisione, fonte Istat) e tutte…

In Italia esistono più di 4 milioni di imprese, suddivise in differenti settori (qui la suddivisione, fonte Istat) e tutte quelle che hanno personale a carico adottano, più o meno consciamente, una politica di gestione del personale.

Stili di gestione del personale

Nelle organizzazioni, dopo anni di lavoro come consulenti, abbiamo trovato un po' di tutto: chi lo gestisce in modo autoritario, lasciando poco spazio al confronto, chi lo gestisce in modo molto attivo e partecipativo, favorendo il dialogo e stimolando le idee, chi lo gestisce in modo "umorale" premiando e punendo le persone a seconda dello stato d'animo, senza seguire una linea di condotta univoca.

Nella letteratura relativa alla gestione del personale, ci sono molti libri che analizzano il comportamento di chi guida l'organizzazione e che descrivono (in modo incredibilmente verosimile) le ripercussioni sulla struttura organizzativa, in termini di comportamento. In pratica potremmo usare un slogan del tipo "dimmi che capo sei e ti dirò che organizzazione hai".

Il famoso professore universitario olandese Manfred F.R. Kets de Vries, che per anni si è occupato di complessità organizzative, ha pubblicato un libro che, seppur datato, ancora oggi rappresenta una pietra miliare per chi vuole capirne di più relativamente alla vita aziendale (per chi volesse approfondire, qui indichiamo il link al libro). Il libro fornisce griglie di comprensione chiare, anche se - necessariamente - a volte semplificate, della realtà organizzativa, a partire da chi la guida. Insomma, diversi stili di gestione del personale a seconda della personalità di chi guida l'azienda o un sottogruppo (una business unit, un dipartimento, un reparto). La psicologia è presente più che mai nelle organizzazioni, anche se molto spesso si tende a negare questa affermazione, riducendo il tutto a frasi del tipo "qui bisogna lavorare, e lavorare sodo, non c'é tempo per pensare". Chi ragiona così, spesso si sbaglia, vediamo perchè.

Un modello per gestire il personale

Qualsiasi persona che si trovi a rivestire un ruolo di coordinamento di un gruppo, non può non tenere in considerazione alcuni elementi che possono risultare fondamentali per il raggiungimento dei propri obiettivi. Un modello semplificato di quello ideato dall'accademico canadese Henry Mintzberg, suddivide l'organizzazione in 3 macro-aree che elenchiamo e poi vediamo nel dettaglio:

  1. Struttura
  2. Regole
  3. Relazioni

Siamo sicuri che questo modello possa essere molto utile a chiunque si trovi nella situazione di guidare un gruppo. Analizziamolo nel dettaglio con un semplice esempio tratto dal mondo dello sport.

Immaginate una società calcistica, formata dalla dirigenza, dai giocatori e da alcuni membri dello staff (magazzinieri, giardinieri, cuochi...). Per preparare i suoi giocatori la società utilizza degli spazi: spogliatoi, campo di allenamento, campo da gara, magari una pista di atletica e poi la sede sociale. Allo stesso tempo, i giocatori, quando scendono in campo, devono rispettare delle regole (non prendere la palla con le mani, tranne il portiere, giocare in 11, cercare di non finire in fuorigioco...) ed i ruoli che si sono dati. Manca qualcosa? Sì, manca una cosa fondamentale: il rapporto tra le persone, la comunicazione tra di loro e con l'allenatore, il senso di appartenenza, la motivazione, la voglia di raggiungere gli obiettivi...

Fatto questo semplice esempio, ora siamo in grado di capire meglio l'elenco puntato di qualche riga fa, con qualche domanda. Se il portiere esce dalla propria zona di competenza e prende la palla con le mani in mezzo al campo, senza che ce ne sia realmente bisogno, di che problema si tratterà? Sicuramente di un problema relativo al comportamento della persona e quindi, l'allenatore come dovrà comportarsi? Individuata la macro area "relazioni" a cui questo tipo di comportamento si riferisce, dovrà rivolgersi al portiere cercando di capire il perchè del suo comportamento, individuandone la causa, magari poi aiutandolo: tutti gesti rivolti al miglioramento della relazione con quella persona. Se invece la dirigenza per un anno non paga gli stipendi ai giocatori, che tipo di problema ci sarà? Si potrebbe pensare che anche questo sia un problema imputabile all'area "relazioni", il che è vero nel senso che le persone non saranno probabilmente motivate, ma la reale causa (sui cui lavorare) sarà una diretta conseguenza di una lacuna nella macro-area "regole" dato che non sono stati rispettati gli accordi. E se invece i giocatori hanno frequenti infortuni dovuti al campo di allenamento sempre dissestato? A questo punto l'allenatore non potrà prendersela con la mancanza di attenzione e concentrazione dei suoi uomini, piuttosto il problema sarà relativo alla macro-area "struttura", poiché le condizioni in cui si trovano ad operare i giocatori prescindono dalla loro buona volontà.

Questo è un modello molto utile perchè aiuta chi guida il gruppo a capire la reale causa dei comportamenti, più o meno virtuosi, delle persone, andando ad "incasellare" il comportamento in una delle 3 aree presentate: sarà poi più semplice agire per gestire al meglio la situazione.

Capire come gestire al meglio il personale: un esempio

Questo semplice esempio non è ovviamente esaustivo: l'approccio sistemico citato è più complesso, ma già queste poche righe possono essere di aiuto a chi si è trovato, o si trova, in un ruolo in cui gli è richiesto di gestire il personale. Infatti, la grande difficoltà che quasi sempre riscontriamo in chi dirige altre persone, è relativa alla definizione dell'ambito e del modo migliore per intervenire. Troppo spesso, per mancanza di conoscenza, abbiamo visto responsabili "sgridare" i propri uomini alla ventesima ora di straordinario mensile, per un errore, magari neanche troppo grave. In questo caso non è pensabile che si tratti di problemi relativi all'area relazionale, quanto piuttosto a quella organizzativa, rappresentata nel modello appena esposto dalla prima voce, quella relativa alla "struttura" (in quel caso mancava nell'organico una persona in più a supporto).

Posizione, ruoli, mansioni e job description

Le parole di questo paragrafo a qualcuno potranno sembrare uguali, ma quando svolgiamo attività di consulenza organizzativa e di direzione, iniziamo sempre con fare dei distinguo fondamentali, che chiariamo in questo paragrafo tramite un esempio tratto da una recente consulenza.

All'interno di un organigramma aziendale, è possibile individuare le posizioni di cui l'azienda ha deciso di dotarsi, per poter gestire il business con profitto. L'organigramma non è uno strumento rigido e "scolpito nelle pietra", ma è uno strumento che deve essere modificato (con parsimonia e non ogni due mesi) per far fronte alle mutazioni di mercato, per permettere all'azienda di essere in grado di rispondere con efficacia a possibili scenari che mutano. In un caso di recente attività di ristrutturazione dovuta alla crescita dell'azienda, abbiamo deciso, in accordo con la proprietà, di fare alcune variazioni all'organigramma, prendendo in considerazione le parole citate come titolo di questo paragrafo.

Innanzitutto abbiamo cercato di capire quali fossero le "posizioni chiave dell'organizzazione", confrontando la struttura organizzativa con il piano di sviluppo aziendale. Per ogni posizione (che è "semplicemente" la casellina sull'organigramma, ma che non è il ruolo) abbiamo definito le mansioni associate, ovvero ciò che chiunque si fosse trovato a ricoprire quella posizione avrebbe dovuto fare, anche con una definizione delle competenze connesse a quella mansione. E fin qui sembra tutto semplice e chiaro (assicuriamo che pur sembrando semplice, le implicazioni non sono poche e che quindi questo processo, affrontato anche senza consulenza esterna, richiede tempo).

Per ogni mansionario abbiamo poi stilato la job description, ovvero il "come" le mansioni di una determinata posizione devono essere espletate. Per fare un esempio tratto dall'arte culinaria, è come se le mansioni rappresentassero gli ingredienti necessari per una torta (uova, farina, zucchero, lievito...) e come se la job description rappresentasse il come questi ingredienti vanno miscelati (prima lo zucchero con le uova, poi l'aggiunta di farina setacciata, poi il lievito...).

Quindi abbiamo condiviso con il committente il nostro lavoro ed ufficializzato la posizione di una risorsa individuata come riferimento per garantire il corretto funzionamento ed aggiornamento dei mansionari e delle job description (abbiamo anche inserito due nuove persone tramite una ricerca e selezione mirata, dopo aver pubblicato alcune offerte di lavoro). Risultato? Produttività aumentata (le persone sanno cosa fare, dove inizia e dove finisce il proprio lavoro) e maggiore soddisfazione in termine di definizione di percorsi di crescita e di carriera. Ora forse sarà più chiara a tutti la differenza tra mansioni e job description e l'importanza della loro chiara definizione.

Ed il ruolo allora che cos'è?

Molti esperti di organizzazione sorridono davanti a questa domande, che sembra avere una risposta scontata del tipo "il ruolo è la posizione che occupi" che, dopo aver letto le righe precedenti, suonerà strano al lettore. In effetti, la risposta non è quella, ma il ruolo non è un concetto strettamente razional-organizzativo, quanto più invece rappresenta uno status psicologico: il ruolo è sia come noi interpretiamo la nostra posizione sia ciò che gli altri si aspettano da noi. Sembra strano, ma se ci pensiamo, è così. Il ruolo di genitore, di un padre o di una madre per esempio, non ha mansioni e job description, ma si concretizza nel momento in cui chi occupa quella posizione, si comporta nel modo in cui lui stesso lo interpreta. Sul lavoro, se non fosse vera questa affermazione, allora tutti i capi sarebbero uguali. A parità di posizione, di mansioni e di job description, due persone diverse nella stessa posizione, interpreteranno il ruolo di capo in modo diverso. Non siete d'accordo?

Altri tre consigli operativi per gestire il personale

Dopo aver illustrato le differenze tra vocaboli che spesso si confondono, ora approfondiamo una parte relativa agli strumenti utili per poter gestire il personale con efficacia.

Se l'azienda vuole crescere o consolidarsi, non solo sotto il profilo del fatturato ma anche in termini di competenze delle proprie persone, forse è necessario capire cosa sanno realmente fare le persone che si hanno in organico. A tale proposito noi spesso proponiamo un'attività di mappatura delle competenze, che permette al capo-imprenditore di conoscere nel dettaglio cosa le persone sanno fare, come lo sanno fare (con quale padronanza affrontano le situazioni) e cosa potranno fare in termini di sviluppo di potenzialità e di carriera. Per chi fosse interessato a saperne di più, qui trova un articolo che approfondisce quanto appena esposto.

Un altro tema chiave che riguarda la buona gestione del personale è rappresentato dalla capacità di guidare ed ispirare i propri uomini. Sono molti i film che trattano questo tema e che, scenograficamente, ma efficacemente, mettono in evidenza come i gruppi possano raggiungere risultati di successo se ben guidati da chi ne ha la responsabilità: un leader è anche un coach, in grado di esprimere una serie di comportamenti virtuosi che guidino il gruppo verso obiettivi prima definiti e poi raggiunti.

L'ultimo spunto di riflessione che forniamo in questo articolo-guida non può non riguardare un tema che abbiamo più volte sfiorato: il team building, ovvero quel percorso di formazione che riguarda lo sviluppo delle potenzialità del lavoro di gruppo. Se gestire le persone significa motivarle, per far sì che il gruppo si conosca e si auto-regoli (permettendo così all'imprenditore di essere certo dell'efficacia del gruppo anche senza la sua momentanea guida) è necessaria un'attività di aggregazione, che permetta a chi ogni giorno si trova a collaborare, di essere più conscio di come gli altri lo percepiscono e di capire meglio le persone che gli stanno intorno. Nella nostra esperienza di erogazione di percorsi team building, svolta in almeno 50 aziende diverse, non ci è mai capitato di non sentire questa frase "pensavo di conoscere i miei colleghi, anche quelli con cui lavoro da anni, ma con questa attività ho scoperto nuovi lati, nuove chiavi di lettura che mi permetteranno di affrontare il lavoro con più slancio". L'obiettivo reale non è il far conoscere meglio le persone, come molti pensano: quella è solo una strategia per arrivare a far si che le persone, rientrate dall'esperienza formativa nel loro consueto ruolo, riescano a tradurre in comportamenti virtuosi ciò che hanno sperimentato durante l'attività formativa. Ancora una volta vogliamo ribadire che il concetto di "formazione aziendale" non è astratto o fine a se stesso: se progettata ed erogata correttamente, diventa una vera e propria marcia in più per ottimizzare i risultati aziendali.

Con questo articolo ci auguriamo di aver fornito una guida più pratica e concreta rispetto al tema della gestione del personale.